Portafogli d'Investimento Teorici:

giovedì 30 aprile 2020

Notifiche

Su consiglio di alcuni lettori, ho inserito nella barra destra del Blog una funzione di notifica che permette a chi lo segue di iscriversi.

Non è una cosa di spam o simili, ma semplicemente una funzione che invia un avviso via email ogni volta che viene pubblicato un nuovo post.

Spero possa rimanere comodo a chi segue il Blog per non perdersi revisioni periodiche ed altri interventi.

E' una funzione che va un pò testata, quindi non esitate a segnalarmi eventuali anomalie, consigli o osservazioni di qualsiasi tipo (credo che esca fuori in qualche punto un mio recapito postale fittizio che si può ignorare, dai test sembra funzionare bene per il suo scopo).

Spero sia utile.

P.C. 30.04.2020

martedì 28 aprile 2020

Tre portafogli a medio termine e la crisi

Dopo aver confrontato il valore di massimo dei mercati (21 febbraio 2020) con l'ultimo valore post-crisi del Covid di tre semplici portafogli a Breve Termine (che si trovano tra le "9 Muse" da me simulate su questo Blog), sono voluto andare a fare un confronto simile anche per i portafogli a Medio Termine.

Ora, se ho costruito bene i portafogli teoricamente:

Prudente Breve Termine < Bilanciato Breve Termine < Aggressivo Breve Termine

Il che si è assolutamente verificato nei due precedenti confronti, dimostrando che questi portafogli per quanto banali, di piccolo importo e con un guazzabuglio di investimenti, alla fine si sono dimostrati ben bilanciati e coerenti alle esigenze del risparmiatore.

Dovremmo ottenere anche:

Prudente Medio Termine < Bilanciato Medio Termine < Aggressivo Medio Termine

Verifichiamo che infatti:


Tra i tre portafogli Erato (medio termine/medio rischio) forse è stato in proporzione un pò più penalizzato, a causa della significativa esposizione a valute che hanno sofferto il calo petrolio.

Confrontando a matrice orizzonti temporali/volatilità ne emerge il seguente quadro:

                                              Breve Termine                                       Medio Termine

Prudente                                        -2,44                                                  -7,75

Bilanciato                                      -5,81                                                  -12,05

Aggressivo                                    -8,58                                                  -13,64

Il comportamento delle asset allocation è perfettamente coerente, e direi che, finora, la diversificazione funziona. L'assenza di anomalie deve condurre il risparmiatore alla massima fiducia nello strumento, certo che a scadenza i risultati saranno bilanciati al rischio/orizzonte temporale che si era preventivato.

Il mercato è imprevedibile, ma la strategia aiuta a gestirne l'incertezza.

P.S.
Si noti come di tutti i portafogli non sono stati considerati i (notevoli) flussi di cedole e dividendi, e che rispetto ai 25000 iniziali di qualche mese fa pre-covid TUTTI i portafogli erano in gain piuttosto significativo, mentre post-covid solo il prudente/breve termine è sopra la soglia dei 25000 e gli altri sono scesi in maniera abbastanza proporzionale. Una discrepanza dal valore iniziale vi è nell'aggressivo di medio termine, che dai 25000 iniziali è sceso meno di quelli meno volatili di medio termine, dato che il dinamismo dell'investimento aveva portato notevolmente più su (in gain di oltre 3000 euro su 25000) le quotazioni prima della crisi.

P.C. 28.04.2020

lunedì 27 aprile 2020

Terzo step di Value Averaging su CYRANO


Sfoggio una bella immagine per il mio portafoglio che come strategia 'duella' con la crisi da Covid-19, approfittando del fatto che finora il mercato gli arride (vorrà dire che ci sarà il tempo per la vergogna al prossimo storno).

Vado a seguire con metodo la strategia prefissata alla creazione del portafoglio. Se dovessi andare a sensazione personale aspetterei che qualche notizia economica deprimente faccia stornare un mercato che sale grossomodo da un mese, prima di aggiungere soldi... ma si fissa una strategia e la si rispetta anche a dispetto di quello che la testa dice al gestore, proprio perché questo è arrogante e probabilmente sciocco a pensare di poter scommettere e prevedere i mercati.

Quindi obbedisco alla strategia prefissata ed utilizzo la mia discrezionalità laddove mi è permessa dal mandato che lo stesso 'statuto' del mio investimento mi concede.

Per prima cosa vado a riscontrare che negli ultimi giorni dal precedente step ad oggi un ETF, il nostro PIMCO Short Term HY Bond euro Hedged, ha distribuito il suo dividendo mensile di 30 centesimi di euro, che al netto delle tasse e per le quote possedute rappresentano un accredito di 11,1 euro sul conto di Cyrano.

Da mandato devo investire 1/3 della liquidità disponibile rimastami.

Per rientrare nella asset allocation finale prestabilita ho ancora spazio su tutti gli asset tranne titoli di stato internazionali ed azionario tematico, che hanno già raggiunto le quote convenute.

Mi è rimasto uno spazio di 1250 euro nell'obbligazionario societario ad alto rischio/rendimento (High Yield) e lo colmo andando ad acquistare un'obbligazione high yield (rating sotto l'investment grade) in dollari (tutto il restante high yield, rappresentato dal nostro PIMCO è con copertura valutaria) sotto la pari: l'obbligazione emessa dalla Ford Montor Company a tasso fisso, in dollari, che paga il 4,75% d'interesse e scade a gennaio 2043 quota oggi 67,51 per via delle pessime condizioni finanziarie dell'azienda. La ritengo un affare compatibile come porzione (al prezzo di 1250 euro) per il mio portafoglio, valutando che è un momento molto difficile per il mercato high yield e che questo sicuramente sta deprimendo le quotazioni del titolo.
E sperando che non fallisca la Ford che secondo me fa anche belle macchine.

Nel settore obbligazionario societario approfitto del momento favorevole dei mercati (per fare affari a ribasso, intendo) per comprare 1000 euro di un'obbligazione bancaria di una banca svizzera: la Credit Suisse Fix Float 26.11.25, che paga interessi variabili ridicoli, ma proprio per questo al momento si compra a 93,7.

Sempre nel comparto obbligazionario ho deciso di abbinare un nuovo ETF sui titoli di stato di paesi emergenti in dollari: il Vanguard USD Emerging Markets Government Bonds. Il perché diversificare su tale indice FTSE, parallelo a quello già posseduto di JPMorgan, è spiegato nel mio articolo del 30 marzo 2020 su questo Blog. Ne prendo circa 3000 euro.

Passando all'azionario aggiungo alla quota europea, mediando il prezzo di carico, 62 quote del xTrackers MSCI Emu Index e 68 del nostrano Lyxor FTSE Mib.

Per la sezione azionaria dei paesi emergenti aggiungo 14 quote del UBS Msci Emerging Markets A-dis.

Rimane il micro-investimento sugli strumenti a Leva finanziaria. L'ultima volta ho incrementato la quota europea e non posso esimermi stavolta (...nonostante le molte inquietudini di listini gonfiati dai dollari di una FED ma così generosa...) dall'aumentare il nostro xTrackers S&P500 a leva finanziaria 2 di 8 quote (489 euro, considerati i 5 di costo transazione che metto sempre in conto).

In tutto ho 'speso' per questo investimento 9890,5 euro.

Rimangono ancora liquidi 20260,04 euro, che potrò utilizzare per il prossimo ingresso graduale del giorno 8 maggio.

Ad oggi il controvalore totale degli asset di Cyrano è di 101658,64 euro, con un guadagno di 1635 euro dall'inizio, un mese e mezzo fa (+1,635%).

La situazione finale al 27.04.2020 (compensati tutti i PMC grazie agli investimenti successivi) è la seguente:


P.C. 27.04.2020

sabato 25 aprile 2020

Tre portafogli a breve termine e la crisi, nuovo confronto

A inizio marzo avevo fatto un confronto tra le valutazione di tre 'piccoli' portafogli-tipo a orizzonte temporale breve (i più a rischio di mancato recupero, al momento) e l'attuale fase di ribasso del mercato.

Come proseguono i tre portafogli? Continuano ad avere una svalutazione bilanciata alla loro esposizione al rischio... o li avevo costruiti male?

Andiamo a vedere cosa ne è stato rispetto al massimo di mercato (21 febbraio 2020), all'inizio della crisi Covid-19 (6 marzo 2020), alla data odierna dopo i danni che la pandemia sta infliggendo all'economia, al sistema economico ed alle nostre vite (25 aprile 2020):

Come possiamo osservare la performance (negativa rispetto al 21 febbraio... come ovvio) è perfettamente simmetrica al rischio assunto dai tre portafogli.

Euterpe, il portafoglio Prudente, ha subito una svalutazione intorno al 2,5%
Thalia, il portafoglio Bilanciato, ha subito una svalutazione intorno al 6%
Melpomene, il portafoglio Dinamico, ha subito una svalutazione intorno al 8,5%

A livello di confronto associo tre fondi bilanciati/flessibili molto noti con diversi gradi volatilità/prudenza ed il loro comportamento sullo stesso periodo (dai massimi ad oggi), che riportano una svalutazione quasi doppia.



Ovviamente i portafoglietti Euterpe, Thalia, Melpomene, sono molto semplici, banali, non ben diversificati, sbilanciati, e sciocchi anche rispetto alle molte simulazioni che faccio qui sul Blog per hobby, ma non è detto che per il piccolo risparmiatore la situazione meno efficiente, meno complessa, più semplice e che ogni tanto fa qualche errore anche di concentrazione del rischio (in uno ho messo persino un pezzetto di bond argentino! Tanto per non negarmi qualche 'errore' e grossolaneria) non ottenga pari o migliori risultati di gestioni blasonate (e spesso costose e dal collocamento non sempre privo di conflitti d'interesse...).

P.C. 25-04-2020

giovedì 23 aprile 2020

Amore&Psiche: -9,47% nel primo semestre per l'alternativo distribuzione/accumulo

Sono trascorsi altri tre mesi per i miei portafogli distribuzione/accumulo "Amore&Psiche".
Andiamo a vedere come la violenta crisi plurifrontale (crollo azionario, crisi del debito, caduta libera del petrolio, pandemia e chi più ne ha più ne metta...) ha impattato sui due portafogli.

AMORE:

Il portafoglio obbligazionario che accumula nell'azionario ha risentito pesantemente per via della natura dinamica e speculativa del suo portafoglio obbligazionario. Ovviamente possiamo notare che i prezzi di carico dei singoli bond sono tutti in rialzo rispetto ai prezzi di carico, la crisi che lo ha colpito non è stata correlata all'economia (recessione/azionario), bensì al petrolio ed alla potente svalutazione delle valute 'deboli' nei confronti delle euro/dollaro.
In questa situazione la strategia su valute certamente decorrela... ma non vuol dire non perdere.
Il micro-investimento in certificate, che sono di fatto speculazioni su indici di borsa, ha prodotto una devastazione del capitale.
Questo serva da monito a chi pensa di investire in questi strumenti ed a chi se li sente proporre 'al posto dell'obbligazionario' da consulenti (o più spesso venditori...) dal sorriso smagliante: con questi derivati non si scherza, se va bene a parità di potenziale utile (molto difficile da calcolare su roba strutturata come i certificate) ci si carica molto più rischio:

In cambio, quale magra consolazione, si sono difesi i pochi asset in valuta forte (dollaro, Canada).

Il portafoglio ha prodotto cedole per 1278,84 euro, che mi hanno consentito di investire nell'azionario-rotativo di turno: l'ETF iShares Core MSCI Pacific ex-Japan (azionario del pacifico) e di far avanzare qualche euro.
La svalutazione di Amore rispetto al capitale di 6 mesi fa di centomila euro, è pari a -6,42%. E trattandosi di un obbligazionario speculativo, con una punta di certificati e moltissimo rischio valuta, dato quello che è accaduto negli ultimi due mesi non possiamo neppure lamentarci troppo.

PSICHE:

Il discorso cambia per il portafoglio azionario a distribuzione che va ad accumulare sull'obbligazionario. La nostra strategia di asset allocation azionaria per PIL a parità di potere d'acquisto è andata ad esporre il portafoglio a mercati in crescita e popolosi: le grandi economie emergenti, queste mentre invece (al solito) al momento c'è stata una maggiore resilienza dei valori nell'azionario più di qualità e nel mercato USA e tecnologico.
Scegliere poi delle classi a distribuzione decisamente non è valsa la candela, e i risultati si vedono:
La conseguenza è un piccolo dividendo incassato e investito nell'obbligazionario high yield ad accumulo, come da rotazione prefissata degli asset, ed una svalutazione dell'investimento, dai centomila iniziali, pari a -12,53%, circa il doppio della volatilità di Amore.

Nel complesso i due portafogli hanno un 'net asset value' attuale di 181048,09 euro, che equivale ad una performance, nel primo semestre, del -9,47%.

Il connubio Amore&Psiche, che tenta di dare una strategia 'alternativa' alle classiche asset allocation 'statiche' ovviamente è stato travolto da uno shock potente nel primo semestre della sua fase di accumulo-distribuzione.
Sarà interessante confrontare la sua capacità di reagire a tale crisi (che comunque non è certo finita qui!) rispetto a strutture d'investimento più tradizionali.

P.C. 23-04-2020

lunedì 20 aprile 2020

MIDA: un portafoglio Tematico Anti-Inflazione

Dato che ormai con la recessione alle porte ho in campo un ampio ventaglio di strategie d'investimento diverse, ho deciso di aggiungere anche il portafoglio anti-inflazione.


Ovviamente non è un portafoglio adatto a difendere il risparmiatore da scene come quelle in fotografia: in quei casi la garanzia è l'oro fisico possibilmente detenuto materialmente o le riserve di valute 'forti', meglio se possedute al di fuori del paese posto di fronte ad una simile prova. C'è da dire che, storicamente, nei casi di iperinflazione i governi hanno provveduto a tutelarsi ponendo restrizioni agli spostamenti di capitali, rendendo illegale il possesso di oro ai privati e quant'altro... insomma il collasso è collasso.

MIDA è però un portafoglio che vuole seguire una strategia Tematica, quindi a concentrazione di rischio su settori specifici, che contempli la possibilità che la crisi economica sia accompagnata da picchi di inflazione, probabilmente generati da fenomeni di stagflazione o reflazione (dato che i tassi rimangono bassi).

Come compongo questo portafoglio d'investimento?

Il 20% circa del capitale è azionario (solitamente il capitale di proprietà è meno soggetto ad inflazione, sebbene le sue quotazioni possono crollare a causa di una forte svalutazione della valuta del paese in cui è scambiato ed ha i suoi flussi finanziari ed economici, c.d. 'rischio valuta').
Arriviamo ad un 28,5% di asset ad 'alta volatilità' associando al capitale azionario un pò di derivati e dei metalli preziosi 'fisici' (che comunque utilizzo come copertura, è un portafoglio d'investimento e non un deposito in oro).

40% circa in Titoli di Stato
25% in obbligazioni societarie di mercati sviluppati
6,5% circa in bond e titoli governativi emessi da enti di paesi emergenti

E' un'asset allocation 25/75 grossomodo... ma l'approccio prettamente tematico la rende tutt'altro che prudente (soprattutto in un'ipotesi di bassa inflazione come quella che abbiamo visto negli ultimi anni).

Il rischio valuta è consistente: circa il 50%. Devo dire che in uno scenario di difesa dall'inflazione le riserve di valuta estera forte (e qui parliamo di sterlina, dollaro e franco svizzero) fanno parte della stratergia.

Per la sezione in Titoli di Stato ho deciso di utilizzare dei titoli inflation-linked: il BTPi scadenza 2032 rappresenta l'orizzonte temporale dell'intero portafoglio, gli ETF che investono in US TIPS (tipici titoli di stato USA legati all'inflazione) ed in inflation-linked globali con copertura valutaria sull'euro mi consentono di diversificare il rischio-paese.

Più complessa la sezione societaria: associo obbligazionari strutturati su tassi (prese sotto la pari e nell'evenienza che l'inflazione obblighi a muovere i tassi), strutturate su commodities (oro!), legate a valuta forte (franco svizzero), speculativi con elevato income in dollari, ed obbligazioni bancarie inflation-linked.

Stessa cosa per i mercati emergenti: un titolo di stato Turco ad elevato income associato ad un ETF di titoli inflation-linked.

Abbino un ETF basato su derivati sintetici che cerca di apprezzarsi sulle aspettative di inflazione USA, in pratica associa posizioni Long sui TIPS (bond legati all'inflazione) a 10 anni e corte sul debito pubblico non legato all'inflazione. E' un titolo duramente punito dal calare dei tassi e dalla piatta inflazione (che ha avuto esito long sul secondo e corto sul primo), ma in uno scenario di reflazione può essere vantaggioso.

Infine le classiche coperture in ETC oro fisico e argento fisico.

Rimane la quota azionaria. Ho deciso per un approccio tematico su Small Cap dei paesi sviluppati e produttori d'oro per un 6% ed un tematico sull'immobiliare per tutto il resto.
Ora, nell'immobiliare ho deciso di escludere il classico Real Estate: ci occupiamo di società che possiedono beni fisici, non di società che si occupano di compravendite immobiliari. Anche questo settore può essere un coltello con una doppia lama: da un lato un incremento dell'inflazione ed una reflazione relativamente 'sane' possono dare valore alle REITS che possiedono vasti beni immobiliari, dall'altro una svalutazione inflattiva a due cifre sarebbe la rovina (come è stata nei casi di iper-inflazione) di chi basa il suo reddito sui canoni d'affitto, portando alla bancarotta questo settore. Però come dicevo, qui ci si occupa di tutelarsi da uno scenario di contenuta inflazione, non di fallimento di Stati sovrani o scenari da Repubblica di Weimar.
L'investimento è quindi condotto con singoli importanti titoli azionari che si occupano di REIT (quindi possiedono beni immobiliari e li locano oppure partecipano allo sviluppo immobiliare delle loro aree di competenza) per l'Europa, ed ETF per le zone che più difficilmente posso raggiungere sottoscrivendo singoli titoli.

Il portafoglio finale di MIDA è il seguente:


La revisione è fissata 1 volta l'anno: è un portafoglio decisamente Buy&Hold. Principalmente si tratterà di reinvestire i dividendi percepiti o rinnovare qualche titolo.

L'orizzonte temporale è 12 anni e 5 mesi: fino a fine settembre del 2032.

P.C. 20.04.2020

giovedì 16 aprile 2020

ATLANTE: rendiconto dopo i primi 4 mesi

Atlante rappresenta un 'semplice' investimento 100% azionario da me simulato a partire da dicembre 2019, un momento iniziale molto favorevole per i mercati dopo un anno record per le quotazioni come il 2019.


Dopo il 'crollo' dovuto alla crisi del Covid19, che si sta rapidamente trasformando in depressione economica mondiale, dobbiamo andare a fare i conti con gli investimenti totalmente azionari, di Atlante.

Atlante è un portafoglio interessante perché schematizza bene la replica e la volatilità, ma anche l'efficienza, degli ETF.

Segue infatti due basilari strategie:
1- Asset allocation diversificata a 'Pesi Costanti' (si vogliono qui rappresentare le difficoltà dei continui ribilanciamenti necessari a mantenere costanti i pesi tra gli asset e la necessaria distribuzione di alcuni ETF).
2- Ottimizzazione dei costi, con un Total Expense Ratio record intorno allo 0,16% l'anno.

Innanzitutto da dicembre Atlante ha incassato i seguenti dividendi:
159,3 euro da xTrackers MSCI Emu Index (azionario paesi euro)
105,82 euro da Vanguard S&P500 (azionario USA)
156,066 euro da UBS MSCI Emerging Markets (azionario paesi emergenti)
36,94 euro da Vanguard FTSE Asia Pacifc ex-Japan (azionario Asia evoluta senza Giappone)
30,3548 euro da iShares FTSE Core 100 (azionario UK)

Si tratta di dividendi già al netto dell'aliquota fiscale, per un totale di 488,48 euro di liquidità diponibile.

Il rendiconto di Atlante è il seguente:


La flessione riguarda tutti gli asset azionari tranne il Nasdaq100, che mostra la sua incredibile resilienza all'attuale shock con una performance positiva del +3,65%.
Notiamo però che la diversificazione tra asset class ha avuto successo: l'andamento è molto diverso, dal -11% scarso dell'azionario USA (e mondiale, che è molto condizionato dagli USA), fino al -26% quasi dell'azionario del Regno Unito.

Ad oggi la svalutazione complessiva è del -17,285%.

Si noti comunque come lo shock sia stato in ogni caso globale, nonostante delle asimmetrie essenzialmente tra USA e resto del mondo, nessuna asset class ha infranto il suo range di bilanciamento per peso: il reimpiego della nostra piccola liquidità da dividendo può quindi attendere.

La prossima rendicontazione è prevista a metà agosto del 2020.
P.C. 15.04.2020

lunedì 13 aprile 2020

DEDALO: un portafoglio obbligazionario Long-Maturity

L'attuale situazione di crisi mondiale lascia molti scenari aperti sul futuro dell'economia, scenari sui quali più volte ci siamo interrogati.
Non ne conosciamo gli sviluppi, ma in questa fase è verosimile fare alcune esclusioni. C'è da escludersi che l'attuale situazione economica e finanziaria mondiale possa spingere le banche centrali verso uno scenario di rialzo dei tassi d'interesse.
Tale scenario era particolarmente temuto dai sottoscrittori di titoli obbligazionari con duration elevata e maturity lunga, più sensibili ai rialzi dei tassi, e che io a lungo ho ritenuto 'potenzialmente letali'.
Oggi sono ancora molto preoccupato per la situazione del debito, più che per quella dell'azionario, ma il rischio tassi non mi appare più imminente.

Ho valutato questo 'postulato' attuale che può essere utilizzato per costruire una specifica strategia di portafoglio, una strategia Long-Maturity che cerchi di accumulare da una parte dei bond a lunga scadenza (prima resi troppo rischiosi dall'incognita tassi) e dell'altra di reinvestirne i proventi (il flusso cedolare) in un azionario (investimento residuale) che nel lungo termine possa trainarci fuori dalla crisi.

Il discorso sull'azionario l'ho già concluso nell'altro post odierno, parlando di "All World Nasdaq Increased" (sintetizzo AWNI).

Sull'obbligazionario il discorso interessante è che le opportunità che offrirà il mercato non saranno date da paura-tassi, ma quasi esclusivamente rischio credito (ed eventualmente rischio valuta), mi sembra quindi opportuno avviare un portafoglio composto da obbligazionario/liquidità, che punti ad acquisire posizioni vantaggiose nei prossimi mesi trasformando la liquidità in un obbligazionario long-maturity ed al contempo valorizzi gli interessi percepiti da questo obbligazionario nell'azionario con strategia AWNI.

Questa strategia implica molteplici rischi, è non è certo 'prudente', ma si avvantaggia dal dare come postulato l'eliminazione di uno dei rischi, ed uno dei maggiori: il rischio tassi.

Ho battezzato il portafoglio DEDALO, un portafoglio con una strategia articolata che tra dividendi, strategia obbligazionaria, liquidità, portafoglio AWNI ed un portafoglio di copertura mira a portarci fuori dal labirinto.


Non esiste probabilmente un metodo infallibile per uscire dal labirinto di una crisi economica, ma Dedalo ci vuole proporre un 'sistema' per affrontarlo.

Dal momento che molte opportunità sulle obbligazioni ci vengono date da tagli minimi un pò rilevanti, simulo Dedalo con un capitale iniziale più grande del solito: 500000 euro, un capitale spesso adatto ad un approccio obbligazionario di questo tipo.

L'asset allocation di Dedalo è concepita per oltre il 90% obbligazionaria e di liquidità, laddove la liquidità rappresenta prevalentemente un deposito che fa da serbatoio per gli investimenti d'altro tipo.

Dedalo è composto da 4 sotto-portafogli:

- Un portafoglio obbligazionario prevalentemente long maturity, composto prevalentemente da titoli di stato, ma anche obbligazioni societarie, con una predilezione per l'acquisizione sotto la pari, che può includere marginalmente però anche obbligazioni subordinate e strumenti parzialmente garantiti alternativi (es. certificati).
- Un portafoglio di liquidità, in parte semplicemente detenuta su conto corrente, in parte divisa tra semplici depositi in valuta, conti deposito svincolati e liberi e strumenti affini alla liquidità
- Un portafoglio di 'copertura' che investe in strumenti che vanno in senso opposto al rischio che comportano le obbligazioni, ad esempio derivati su oro e metalli preziosi, strumenti che replicano l'andamento inverso di titoli di stato e tassi d'interesse, residualmente può essere preso in considerazione il settore real estate e le soft commodities (perché tendenzialmente possono decorrelare dagli strumenti di sopra). L'ovvio valore aggiunto che può dare tale portafoglio è avere dei picchi di rialzo nelle fasi che comportano il rischio più significativo per questo portafoglio: il rischio credito, che si possono quindi convertire in obbligazioni a lunga maturity prese a prezzi e redditività eccezionali
- Un portafoglio azionario AWNI che accumula, tramite value averaging, principalmente proventi che vengono dagli interessi pagati su bond e depositi

La strategia di Dedalo è innegabilmente flessibile ed opportunistica, ma è dotato di un'asset allocation flessibile che rispetta queste oscillazioni:

Liquidità: minimo 5%, massimo 65%
Obbligazioni governative (e di enti governativi): minimo 20% massimo 75%
Obbligazioni societarie: minimo 10% massimo 20%
Obbligazioni subordinate e strumenti ibridi o certificati: massimo 5%
Obbligazioni emesse da paesi emergenti (non considero tali l'Europa emergente): massimo 10%
Portafoglio di copertura (oro, argento, platino, derivati, commodities, immobiliare): minimo 5%, massimo 10%, di cui massimo 2,5% in azionario e soft commodities
Portafoglio value averaging AWNI (50% Nasdaq100+50% FTSE All World ex-Nasdaq): finché è value averaging di altri proventi non ha un limite, 1,4% iniziale

Le principali regole saranno:

1- Preferire obbligazioni sotto la pari e di lunga maturity
2- Sopportare fino ad un 20% di rischio controparte, ma solo su una singola controparte ed in logica opportunistica, per il resto max 10% rischio controparte
3- Revisioni periodiche in corrispondenza del PAC (ogni 4 e 3 mesi) ma revisioni straordinarie a scelta del gestore
4- Accumulare in azionario ogni 4 e 3 mesi fino ad un massimo dei dividendi di periodo incassati (non di più)
5- Investimenti in coperture da 5% a 10% del capitale: oro, argento o platino, derivati su valute o posizioni corte, fino a 2,5% di azionario o soft commodities. Che possono però azzerarsi per 1-2 revisioni se l'occasione lo richiede (approccio opportunistico)
6- Liquidità dal 5% (minimo) al 65% (massimo) del portafoglio
7- Massimo 25% di rischio valuta (ESCLUSO IL PORTAFOGLIO VALUE AVERAGING)
8- Massimo 5% in obbligazioni subordinate/perpetual/strumenti ibridi di capitalizzazione

Quale è la durata di questo portafoglio?
Avrebbe senso detenerlo grossomodo per un ciclo economico... è inutile dire che quando il nostro principale avversario, il rialzo dei tassi, facesse capolino alla porta potrebbe diventare un portafoglio estremamente svantaggioso e dover attendere un ulteriore ciclo economico (ribasso futuro dei tassi d'interesse).
A tal fine dò una scadenza a 10 anni, ma è molto variabile e appunto si può decidere di modificarla in base alla situazione economica (anche prolungarla indefinitamente, tendenzialmente è un approccio di portafoglio valido anche per periodi molto lunghi, portafogli societari e simili).

Le revisioni devono rispettare i cicli del Value Averaging del nostro AWNI, utilizzo due ETF, il iShares Nasdaq 100 ad accumulo ed il Vanguard FTSE All World Acc. Dato che le proporzioni sono 3 e 4 provvederò a fare una revisione una volta ogni 3 mesi ed una volta ogni 4 per poter accumulare i proventi (che però saranno variabili!) la prima volta sul Nasdaq e la seconda sul All-World FTSE Index.

Le regole mi permettono di indire delle revisioni straordinarie per operare sul portafoglio quando voglio (esempio se si verificano particolari 'opportunità' sull'obbligazionario di lungo termine).

Notiamo che Dedalo è un portafoglio molto speculativo, ma interessante perché ci permette di speculare con una strategia completamente diversa, anche se flessibile, da quella degli altri portafogli con metodi più classici (es. azionario/bilanciato), con tecniche alternative (opportunistico puro/anticiclico market neutral) oppure con asset allocation più rigide.

Il portafoglio di partenza di Dedalo è il seguente:

La prima revisione è fissata quindi tra 3 mesi, salvo imprevisti, intorno a metà luglio.

P.C. 13.04.2020

L'innovazione ci salverà? (Parte Seconda) ---------> "All World Nasdaq Increased"

Proseguendo il discorso di 4 giorni fa, sto riflettendo come ponderare un investimento tecnologico con l'All Country World Index di FTSE, che, come abbiamo visto, va a rappresentare una larga parte del capitale finanziario mondiale (ma non diversifica bene tra economie e su criteri diversi dalla capitalizzazione di mercato).
Come dicevo un investimento abbinato tra i due indici, 50% Nasdaq-100 e 50% FTSE All-World, diventa un'esposizione al capitale globale, con focus su large-mid cap sviluppate e con sovra-peso del settore tecnologico-innovazione.
Se però voglio portare esattamente a 50 e 50 tale peso dovrò considerare una proporzione diversa: 42,85 Nasdaq100 ogni 57,15 FTSE All-Country-World fanno in modo che nell'investimento complessivo le aziende quotate nell'indice Nasdaq siano la metà e le aziende della capitalizzazione mondiale secondo i criteri FTSE ACWI ex-Nasdaq siano un'altra metà.

Da questa mia riflessione proviene la 'base' per un investimento Value Averaging che personalmente definisco "All World Nasdaq Increased" i cui asset sono composti da:

50% FTSE All-World ex-Nasdaq
50% Nasdaq 100

Che può quindi essere realizzato abbinando a 3 parti di Nasdaq100 (utilizzando ad esempio gli ETF iShares Nasdaq100 Acc IE00B53SZB19  oppure Invesco Nasdaq100 dist. IE0032077012) 4 parti di FTSE All-World (utilizzando ad esempio gli ETF Vanguard FTSE All World dist. IE00B3RBWM25 oppure Vanguard FTSE All World Acc. IE00BK5BQT80).

Esistono ovviamente molti altri approcci all'innovazione ed alla tecnologia (ho trovato interessante persino il portafoglio suddiviso al 5% tra singoli titoli dell'ETN "Creative Thinking" di Oval... ma ha una scadenza prefissata a breve), nonché vari altri ETF con le strategie più disparate (Cloud Computing, Information Tecnology, Automation etc...) tuttavia la strategia che al momento ho fissato (per sfruttarla in due futuri portafogli che ho in mente) All World Nasdaq Increased vuole affidarsi ad indici più affidabili per un investimento di lungo corso come il FTSE All-World Index ed il Nasdaq100.

P.C. 13.04.2020

sabato 11 aprile 2020

Secondo step di Value Averaging su CYRANO

Come da strategia che devo cercare di perseguire con la massima sistematicità, vado a produrre la seconda revisione a breve del portafoglio CYRANO, concepito per 'duellare' con la fortissima volatilità dei mercati finanziari che si è scatenata a marzo del 2020 a causa della pandemia di Covid19.

Andando ad analizzare oggi il portafoglio di Cyrano notiamo che non solo l'investimento è passato in guadagno (sicuramente grazie all'ottima entrata del precedente investimento periodico del 23 marzo, ma non potevamo certo sapere di trovarci in un mino relativo), ma che quasi tutti gli asset manifestano valori sopra la pari:
Oltretutto Cyrano, concepito per produrre futuri flussi di cedole e dividendi in modo da poter proseguire l'accumulo anche dopo i nostri step d'entrata cadenzata nel tempo, ha incassato i primi dividendi nel mese trascorso: un totale di 107,57 euro prodotti dai Vanguard Developed Europe e S&P500 (rispettivamente 35,52 e 38,48 euro netti) e dagli ETF obbligazionari PIMCO Short Term High Yield Bond e iShares JPM Emerging Markets Bond che hanno pagato complessivamente di meno (33,58 euro), ma che producono dividendi ogni mese, e saranno quindi una buona fonte di liquidità futura.

Adesso, quale è il problema? Se dovessi andare ad emotività rinvierei completamente questo step, ma il consulente professionista ed il gestore seguono un sistema, uno schema, non si improvvisano veggenti e guru dei mercati. Mi sono dato delle regole per Cyrano e vado oggi ad immettere 10000 euro di liquidità come preventivato, l'unico spazio discrezionale di 'gestione attiva' me lo sono dato nello scegliere, di volta in volta, quali asset preverire. Tuttavia l'obbligo è arrivare alla fine del value averaging alla suddivisione in asset class come preventivato all'inizio del portafoglio.
Quale è il mio dubbio?
Il dubbio è che il mercato risente molto di emotività (passa un pò il panico, si nota che la discesa forse è stata troppo improvvisa, si beneficia di massicce immissioni di liquidità pubblica), in passato questi effetti hanno prodotto (penso alle grandi crisi mondiali) degli improvvisi rialzi, che poi si sono, alle volte (così non è stato nel 1987... ma lì non c'era una vera e propria crisi economica globale) sgonfiati poco a poco che uscivano i dati devastanti sull'economia reale.

Quindi al momento Cyrano è in una posizione di forza, sembra aver incassato bene il colpo dell'avversario...
...non vorrei però esporre eccessivamente il fianco alle future stoccate della crisi economica.

Voglio tenere a mente la lezione del passato (scusate la bassa qualità della grafica, ma non ci perdo molto tempo):


Quindi scegliendo come investire questi 10000 odierni cerco di non caricare più del dovuto negli asset più volatili:

- in primis ho ancora spazio per comprare titoli di stato. Sicuramente possono essere una bomba futura (con l'indebitamento di cui si fanno carico gli stati ora), ma nel portafoglio complessivo incidono poco (5% dell'asset class) e soprattutto tramite ETF li diversifico molto. Vado quindi a comprare 11 quote del xTrackers Global Sovereign Eur Hedged Dist a 227,7 (prezzo di chiusura del 10.04.2020), abbassando il prezzo di carico medio a 229,37, per un totale di 2509,7 euro. Con questo versamento ho completato la percentuale prevista dalla asset class nel settore titoli di stato globali di paesi sviluppati.

- sull'azionario europeo aggiungo 60 quote al xTrackers MSCI Emu Index (quello che investe solo nella zona euro!) al prezzo di 2005,7 euro e portando il PMC a 34,01

- una piccola aggiunta la faccio sull'azionario dei paesi emergenti, acquistando 15 quote del UBS Msci Emerging Markets A-dis per 1205,3 euro e arrivando a PMC 79,42

- passo poi all'obbligazionario con 300 quote per 1502,9 sul iShares Eur Corporate Bond BBB

- aggiungo 26 quote per 2409,22 sui titoli di stato dei paesi emergenti con il nostro iShares JPM USD EM Bond

- infine rallento molto l'entrata (obbligata però dalla strategia di portafoglio!) negli strumenti a leva finanziaria. Con uno svantaggioso costo di sottoscrizione (5 euro)/importo sottoscritto acquisto solo 6 quote del xTrackers S&P500 2x Lev Day Swap spendendo 349,98 euro ed abbassando il PMC a 58,27.

In tutto l'investimento è costato 9981,8 euro, e la liquidità residua da investire (aggiunti però i dividendi incassati!) è di 30139,44.

Questa la situazione FINALE di Cyrano al 10.04.2020:


Attualmente Cyrano porta a casa un gain del +1,256%, ma il duello è ancora lungo e vedremo al prossimo step del 27.04.2020 che opportunità ci offrirà il mercato e che sorprese ci riserverà.

P.C. 11.04.2020

giovedì 9 aprile 2020

Elementi di Base per Strategie d'Investimento Diversificate (ebook)

A seguito di diverse richieste mi sono convinto a rendere disponibile anche in versione Kindle, come ebook, il mio piccolo manualetto introduttivo su investimenti e strategie.

Si trova su Amazon: https://www.amazon.it/dp/B086WK6T8K

Originariamente ho optato per diffondere la copia cartacea del testo integrale perché l'ho considerato un modo di raggiungere chi usualmente non legge il Blog. Mi sono reso conto della possibilità di creare la versione ebook con la funzione 'prestito'. Quindi è possibile scaricarlo e poi darlo in prestito a chi volete per diffonderne i contenuti, gratuitamente per diversi giorni.

Ritengo quindi che anche la versione kindle/ebook risulti utile alle finalità formative e divulgative di tale scritto.

P.C. 09.04.2020

mercoledì 8 aprile 2020

L'innovazione ci salverà? (Parte Prima)

Sto approfondendo un pò di letture sulla creazione degli indici da parte della società FTSE Russel Group, la società britannica specializzata nel creare e gestire gli indici con l'acronimo Financial Times Stock Exchange.
Questo, ovviamente, perché alcuni moderni strumenti a disposizione di risparmiatori come me e consulenti (sempre come me) utilizzano tali indici come benchmark.
Non mi soffermo a ripetere come funzionano i criteri di selezione degli Stocks inseriti negli indici della famiglia FTSE Global Equity Index Series (una 'famiglia' di indici costruiti seguendo lo stesso codice di regole e i medesimi criteri di selezione che includono diversi indici 'mondiali' e globali).
L'indice che mi interessa è il FTSE All-World, un indice della famiglia molto interessante, creato e gestito dalla società fin dal 1986 che include la bellezza di 3100 titoli (di cui mi sono stampato e letto la lista...) divise su 47 paesi. Oltre alle dimensioni, diciamocelo, c'è il fatto che l'indice è replicato dagli ETF Vanguard FTSE All World disponibili sia nella versione a distribuzione (IE00B3RBWM25 con 3,4 miliardi di masse scambiate) che nella versione ad accumulo (IE00BK5BQT80 di più recente approdo nel nostro paese con 681 miliardi).
Ora, molti ritengono che con questo strumento in un certo senso si investe su 'tutta l'economia mondiale'.
Ebbene no, e direi da un lato per fortuna perché altrimenti tutti i miei sforzi nel simulare (e nella vita creare) portafogli diversificati etc... sarebbero più inutili di quanto sono perché alla fine hai il titolo che con un click ti fa tutta l'asset allocation in maniera perfetta.

Più me lo studio e più comprendo che il nostro FTSE All-World rispetta, banalmente, i criteri per cui è creato. Innanzitutto la selezione di indici viene fatta per paesi ed economie, e questi paesi sono sovra o sotto pesati in base ad una classificazione tra paesi considerati sviluppati, semi-sviluppati ed emergenti. Oltretutto ci sono indicatori quali la mancanza di libertà nelle elezioni democratiche che operano successive scremature. Infine delle valutazioni sulla base della capitalizzazione (ricordiamo che questo indice investe solo in aziende ad alta e media capitalizzazione, escludendo di fatto paesi con valute deboli che non possono far raggiungere la giusta 'dimensione' ad aziende magari importanti, così come tutto l'interessante comparto dello small cap).




Le conseguenze le conosce chiunque abbia dimestichezze con il All-World di Vanguard o di altri: USA rappresentati per più della metà dell'investimento, e qui va bene, ma cose abbastanza prive di senso come la Cina (economia enorme) al 3,9%, la Russia rappresentata ai livelli della piccola Singapore e poco più della Tailandia, il Portogallo poco più di un terzo delle Filippine, e la Svizzera da sola presente quanto la somma di Brasile, India e Messico (senz'altro il cittadino svizzero è mediamente molto più ricco, per carità).

Quindi non si immagini con questo indice di replicare "tutto il mondo" in maniera fedelissima.
Siamo sempre in un indice dove USA e US-related e paesi sviluppati, democratici e capitalizzati hanno un ruolo assolutamente dominante.


Detto questo sono passato a confrontare alcune 'conseguenze' diciamo ''merceologiche'' delle aziende rappresentate nel FTSE All-World. A parte l'ovvia Finanza, le grandi utilities, i servizi e la sanità un ruolo preponderante è dato dal settore tecnologico e ad alto carico d'innovazione.
Ecco che cosa ho concluso:


Nella scheda, dopo il settore finanziario, il tecnologico è indicato al 18%, ma al di là delle aziende di Tech vera e propria ci sono tutte le aziende fortemente innovative: banalmente tra i pochi presenti della Cina oltre alle banche trovo Alibaba Group, Xiaomi Corportaion, Sunny Optical etc...
Allora sono andato a fare un bel raffronto. E mi sono scaricato anche il patrimonio investito del Nasdaq100.

Dal momento che il Nasdaq 100 è composto, per definizione, da 100 società, tutte quelle sopra l'1% le posso considerare come sovra-pesate nell'indice. Ovvio visto che è un indice che va a capitalizzazione. Le prime 10 società formano il 54% del Nasdaq 100, sono le aziende sopra il 2% del capitale di questo indice, tra cui i veri 'giganti' come Alphabet, Amazon, Apple e Microsoft. 
L'indice Vanguard FTSE All-World è stato costruito in modo che le 19 aziende sovra-pesate (sopra l'1%) del Nasdaq100, e che rappresentano esattamente il 66,6% della capitalizzazione di quest'ultimo, rappresentino nell'indice All-World esattamente il 12,5% della capitaliazzione (1/8 del capitale).

2/3 dell'uno è 1/8 dell'altro


Quindi io considero l'investimento abbinato tra i due indici (es. 50% Nasdaq-100 e 50% FTSE All-World) un investimento globale, con focus su large-mid cap sviluppate e con sovra-peso del settore tecnologico-innovazione.

Questo è un abbinamento tematico più interessante, per me, di voler riprodurre ''tutto il mondo'' con 2 titoli (o indici) senza un'asset allocation diversificata a dovere.

E la domanda è questa: nell'attuale situazione, è possibile che sia l'innovazione e le aziende leader in tecnologia/innovazione che, se sovra-pesate in un investimento globale sui paesi principalmente sviluppati, potrà salvarci?

Più avanti riprenderò questa analisi...

P.C. 08-04-2020

lunedì 6 aprile 2020

ARTICOLO: This Time is Different?

Sono trascorsi dieci anni dalla pubblicazione del pregevole saggio degli economisti Carmen Reinhart e Kenneth Rogoff intitolato “This Time is Different: Eight Centuries of Financial Folly” (Princeton University Press, 2009). Quanto descritto dal titolo del saggio è il commento che oggi riportano molti giornali ed addetti ai lavori, sul tipo di shock economico cui tutti noi stiamo assistendo.
Lo storico dell’economia, però, abituato ad un’analisi di dati distribuiti su un ciclo temporale più lungo, ritroverà oggi degli schemi più famigliari di quelli di molti altri economisti, cresciuti studiando libri di testo che riportavano dati sulla mortalità analizzanti da un punto di vista che non conosce più le crisi epidemiologiche dell’antichità e per i quali ormai “si è passati da malattie trasmissibili da persona a persona a malattie degenerative non trasmissibili” (cit. Malanima, 2003).
Il dogmatismo di alcune posizioni scientifiche in merito viene oggi smentito da un fenomeno, una crisi di natura sanitaria globale (pandemia) che lo storico sa essere una costante che periodicamente affligge la realtà umana e travolge i rapporti sociali, le istituzioni ed il sistema economico. Per fortuna su cicli lunghi. L’Economia viene riportata, in questo, alla sua natura originariamente umana che si sottrae a regole fisse e rigide analisi quantistiche.
Come sempre accaduto ci si trova quindi parzialmente stupiti ad affermare “This Time is Different!”, sapendo già che le vicende umane non rispondono mai esattamente alle stesse ‘regole’ che sembrano averle condizionate in passato, ma sono comunque analizzabili nella loro complessità indistinta poiché gli ingredienti delle nuove congiunture sono prevalentemente gli stessi.
Analizzando il passato la storia delle pandemie non ci racconta nulla di buono. Nel passato le epidemie erano eventi cui l’uomo era abituato, crisi cicliche e diffuse che si abbattevano sulla società come le guerre e le carestie, tanto spesso da essere tra le sciagure più temute: l’apostolo Giovanni nella sua Apocalisse vi associa addirittura la figura dei cavalieri. Oltretutto questi infausti eventi avevano un buon grado di correlazione: erano le carestie che indebolivano le difese immunitarie incrementando la possibilità di diffusione delle epidemie ed erano i conflitti sociali e politici che spesso erano causa di carestia, veicolo di contagio e conseguenza di periodi di penuria.
Le pandemie, però, erano eventi più rari e globali. Se il tessuto economico e sociale erano duramente provati dalle crisi epidemiche, le pandemie rappresentavano periodi di cesura netta, causavano la caduta di imperi e producevano un cambiamento nel modo stesso di concepire la società. Secondo alcune tesi (W.Bernstein, 2008) la morìa del 25% della popolazione di Costantinopoli nel biennio 541-42 sottrasse all’impero guidato da Giustiniano le risorse umane ed economiche per realizzare la ricostituzione di quell’Impero Romano che a livello politico era già stato, con grande sforzo, riunificato. Gli effetti globali della pandemia avrebbero poi ribaltato i rapporti di forza mondiali favorendo nei decenni successivi le popolazioni insediate in climi più ostili ai veicoli di trasmissione del contagio (quali gli adepti dell’islamismo dell’arida penisola araba) e più lontani dalle fitte comunità urbane che ne vennero falcidiate. In altre parole avrebbero aperto le porte al Medioevo con la ‘nuova forma’ (L.Leciejewicz, 2000) con cui noi oggi lo conosciamo. La pandemia del XIV secolo è tradizionalmente considerata dagli storici come un momento di definitiva cesura con modelli politici e culturali precedenti e la nascita di un nuovo modo di rapportarsi alle risorse.

L'impero di Giustiniano: quando nel 542 l'imperatore si ammalò di peste Belisario, il celebre generale autore di gran parte delle sue conquiste, dovette rientrare a Costantinopoli. A seguito di questa crisi iniziarono i primi tentativi di controffensiva (quali quelli dei Goti di Totila in Italia) alla ri-conquista giustinianea. L'Impero Romano d'Oriente dimostrò di non avere le risorse per consolidare le terre ri-conquistate a partire dalla scomparsa, nel 565, sia dell'imperatore che del suo generale.
La pandemia del XIV secolo, invece, è stata tradizionalmente considerata dagli storici come un momento di definitiva cesura con equilibri politici e culturali precedenti (con la marginalizzazione di una concezione feudale di ‘Stato locale’ che però si riconosceva in sistemi globali ed universalistici come la Chiesa e l’Impero) e la nascita di un modo nuovo di rapportarsi alle risorse. Dopo i 40 anni circa di depressione che la seguirono (variabile da zona a zona, con poche aree, quali la Polonia, che ne uscirono relativamente illese ascendendo in seguito alla pandemia allo status di potenza europea di primo piano con la dinastia degli Jagelloni) si rivoluzionò l’applicazione della tecnica in luogo di una forza lavoro divenuta meno abbondante, tendenzialmente meglio salariata (consentendo un maggiore margine di surplus economico che divenne luogo d’essere di un ceto borghese in crescita) e costosa da impiegare nelle lavorazioni artigianali più complesse che si cercava di automatizzare e semplificare il più possibile, si pensi alla lenta e costosa produzione libraria a mano che venne sostituita e rivoluzionata dalla tecnica a stampa. Ovviamente l’innovazione tecnica, giuridica dell’Umanesimo e poi del Rinascimento richiedeva anche capitali da impiegare generati secondo molti storici dall’economia anche dal surplus generato da una produttività marginale più alta ottenuta da un miglior rapporto tra domanda e fattori produttivi meno scarsi (si pensi all’abbandono dei terreni marginali messi a coltura fino alla prima metà del XIV secolo a favore di aree più intensive).
Senz’altro la crisi pandemica attuale si abbatte su una società ed un sistema economico molto diverso, più avanzato come grado di complessità e disponibilità di mezzi tecnici rispetto a quello dei secoli passati. Mai come oggi le conoscenze sanitarie sono in grado di contrastare l’azione della natura e la comunicazione e le potenzialità che questa offre quanto alla coordinazione di sforzi comuni non sono neppure lontanamente paragonabili. Per questo è possibile che i suoi effetti siano molto più contenuti che in passato. D’altra parte, però, la pandemia si diffonde in maniera molto più rapida, in una comunità umana esponenzialmente più numerosa ed in un substrato sociale non abituato a confrontarsi con problemi simili, laddove appunto il problema delle malattie trasmissibili da uomo a uomo o da animale a uomo era relegato in un breve paragrafo dei libri di storia.
Il contesto in cui questo evento viene a colpire è quello di una maggiore specializzazione del sistema economico, fatto di legami avanzati, ma al contempo in un sistema in cui una più fitta rete di legami può essere compromessa. Banalmente la pietra della pandemia, anche se più piccola, può cagionare un danno più rilevante dentro una cristalleria che contro le mura di un castello.
Lo shock sull’economia reale è oggi stimabile, ipotizzabile, ma ancora di là da vedersi. I mercati finanziari, che possono essere visti come un apparato circolatorio utile ad una diagnosi delle patologie del sistema, tendono ad anticipare sulla base di analisi di prospettive, ma anche di ansie e paure, l’evolversi della situazione economica.
I mercati sono stati colpiti in una prima fase da una crisi da cosiddetta ‘tempesta perfetta’, termine caro a chi osserva i forti ed improvvisi picchi che ciclicamente ed inesorabilmente si susseguono nel loro andamento. In pochissimi giorni le notizie sulla diffusione del virus hanno permesso ad uno stato di paura pura di subentrare sostituendo un precedente periodo di decisa euforia alimentata da lunghi corsi di politiche monetarie accondiscendenti. Dalla sovra-percezione della redditività del mercato uno scenario così incerto, con connotati così lontani nel tempo e nella memoria, ha condotto ad una fase di sovra-percezione del rischio. E’ inevitabile che la percezione cambi nei mesi seguenti, ma non è possibile per lo storico, né per l’economista o l’analista onesto, avanzare solide stime su un periodo futuro che non è ambito di studio dell’uno né di analisi dell’altra, poiché molto dipende da decisioni ancora da prendersi e dall’impatto di troppe variabili su un sistema globale.
Alcuni economisti si sono affrettati a descrivere la presente crisi come simmetrica dal punto di vista della domanda e dell’offerta. È evidente che nella sua prima fase, nella sua eruzione, il problema è questo: pochi possono comprare, pochi possono produrre. Non è la liquidità del sistema il problema, poiché è l’unica (al momento) disponibile e viene messa sul piatto per rassicurare e sorreggere l’economia. Non si tratta di una crisi di domanda/offerta uguale a quella di un conflitto bellico, sebbene esistano delle analogie: i fattori produttivi, da un lato, non sono distrutti e la forza lavoro, dall’altro lato, non è impiegata altrove a tempo indeterminato. Può trattarsi quindi di una sospensione dell’attività che potenzialmente può essere riattivata a condizioni prossime, alle precedenti. Il problema è qualora questo shock simultaneo domanda/offerta, che compensa in qualche modo l’assenza di produzione con l’assenza di consumo, si sbilanciasse in direzione di una delle due.
Probabilmente “this time is NOT different” rispetto a quanto l’umanità ha già sperimentato in altri contesti nel passato, ma l’evoluzione degli eventi e dei processi economici può ancora prendere diverse vie.
Da un lato può esserci una funzione pubblica, istituzionale, a farsi carico di gran parte del peso dell’attuale shock, scaricando come un ammortizzatore uno squilibrio che non deve essere fatto gravare sui fattori produttivi. Questo permetterebbe a livello teorico al motore dell’economia di essere riavviato e rimesso in moto senza troppi danni alle sue parti costituenti. Il problema è che questo peso da sopportare è indubbiamente l’azzardo che ha più probabilità di successo, ma anche il più rischioso. Il debito pubblico è un macigno che, se generalizzato e globalizzato, può poi sfogarsi tramite meccanismi di svalutazione/default più o meno controllati, generando verosimilmente depressione di alcuni settori economici che potrebbero poi trasformarsi in una crisi asimmetrica oltretutto priva di una forza istituzionale che possa agire al suo interno come un fattore di stimolo adeguato.
Indubbiamente una sovra-nazionalizzazione dello sforzo permette di distribuire gli impatti negativi del medesimo. L’ultimo trentennio ha visto emergere a livello geopolitico un quadro di grandi unioni sovra-nazionali o sfere d’influenza che hanno sostituito la divisione a blocchi contrapposti del mondo: la Cina e la sua area asiatica, l’Unione Europea, gli Stati Uniti con la loro influenza locale e globale, il tentativo di ripresa di un’egemonia territoriale anche da parte della Russia, la presa di coscienza di alcune economie emergenti ma ‘maggiori’ (i cosiddetti BRIC o BRICS) quali attori nel contesto globale. Tale sovra-nazionalizzazione non può però essere scevra da considerazioni particolariste: perché, banalmente, i seguaci dell’Islam avrebbero dovuto rinunciare ad esercitare un vantaggio competitivo ed una loro egemonia (nella pregevole ipotesi di Bernstein) laddove il contesto mediorientale e mediterraneo della grande depressione del VII secolo gli lasciava tale spazio? Perché delle economie che in un sistema globalizzato perfezionano i loro indici di produttività marginale attraverso la competizione dovrebbero ad un certo punto deporre le armi in un’ottica solidaristica che è essenzialmente aliena ai modelli culturali del libero mercato contemporaneo?
Infine, le conseguenze di un sovra-indebitamento nazionale di lungo corso in un’economia sviluppata sono note, ma di recente riscontro (es. i modelli sulla ‘giapponesizzazione dell’economia’) e le conseguenze di un forte indebitamento sovra-nazionale rappresentano modelli ancora da sviluppare.
In assenza di un forte controllo istituzionale lo shock potrebbe risolversi e riassorbirsi da solo. Storicamente l’economia moderna e contemporanea ha spesso trovato (come da tesi liberista) in sé stessa gli anticorpi contro i suoi stessi mali. Qualora questo non si risolvesse tuttavia assisteremmo ad uno shock via via più asimmetrico mentre le istituzioni più ‘deboli’ cedono e quelle più resilienti a questa particolare tipologia di crisi resistono. Banalmente molti pensano oggi a settori come l’Healthcare ed il Consumer Staples, ovvero sanità e beni di prima necessità, quali aree economiche che probabilmente hanno subito un minore congelamento della produzione a causa di una quarantena che ha costretto all’inattività temporanea un miliardo di persone nel mondo. In realtà i settori davvero resilienti li potremo giudicare tra qualche anno poiché anche durante le guerre mondiali si facevano ragionamenti simili sulle industrie pesanti beneficiate dalla riconversione bellica, ma furono quelle poi travolte da crisi di sovra-produzione a fine conflitto. Se lo shock, come verosimile, da esogeno all’economia divenisse un trauma che ne compromette il funzionamento, molto del suo decorso dipenderà da quali funzioni andrà a compromettere.
Sarà ben diversa una crisi di domanda, legata ad esempio alla mancanza di liquidità ed all’impossibilità di consumare di una larga fascia di popolazione con risorse ridotte, in qualche modo simile a quanto abbiamo già vissuto a livello globale circa un decennio fa, da una crisi d’offerta. Per chi nel nostro paese ritiene che la crisi dell’offerta, soprattutto se cagionata da elementi esterni e dal potenziale stagflattivo, sia meno aspra, non rimane che riflettere che nel caso italiano la gestione della crisi generatasi nel 1973-74 impose la messa in atto di provvedimenti di sostegno ai consumi ed all’economia (quali l’alleggerimento fiscale e la scala mobile) che generarono gran parte del debito che ha poi minato la prosperità del paese nelle generazioni successive.
A questo punto bisognerà valutare, per storici ed economisti, la riabilitazione di vecchi termini divenuti desueti, quali ‘Depressione’ in luogo di ‘Recessione’, per indicare un percorso di ristagno economico e decrescita di lungo periodo che fatica a vedere una ripartenza spontanea senza altri e ben più forti shock.
Ovviamente una soluzione di ancien régime alle crisi da pandemia rimane quella più naturale e biologica. L’esposizione della comunità ad agenti patogeni e la loro diffusione su una popolazione impreparata, trova la sua espressione in un riequilibrio demografico ‘naturale’ che fa poi da riallocatore automatico dei fattori produttivi. Questa brutale soluzione, ovvero assistere passivamente alla morte di massa e provvedere poi ad una ridistribuzione dei fattori produttivi in maniera più efficiente e con una produttività marginale più alta tra i superstiti, appare oggi inaccettabile per molteplici fattori. In primo luogo, perché la nostra è un’economia avanzata, che ha spostato la forza lavoro da un rapporto diretto con il settore primario, sviluppando complesse strutture (più produttive) ben lontane dalla materia prima, quindi tale riallocazione migliorativa dei fattori produttivi, forse efficace in età pre-industriale e prima dell’età dei servizi, oggi rappresenterebbe un tornare indietro di secoli. In secondo luogo, perché tutti i modelli in cui questi eventi sono occorsi in passato riguardano contesti già compromessi, come negli scenari post-bellici, o realtà precedenti alla nascita della cosiddetta società di massa. In una società di massa come la nostra non è noto se il controllo delle istituzioni sul caos che ne deriverebbe possa reggere e soprattutto se questo può essere fatto ad un costo inferiore rispetto allo scenario di un intervento forte dell’ammortizzatore istituzionale. Probabilmente le caratteristiche biologiche della pandemia, banalmente la sua potenziale mortalità e la sua pericolosità per la tenuta delle strutture sanitarie e sociali, possono essere fattori determinanti.
Quanto all’uscita dalla crisi è evidente che, qualsiasi sia la configurazione che essa assumerà nei prossimi anni, sarà asimmetrica tra i vari settori nella gran parte degli scenari. Esiste lo scenario secondo il quale il suo effetto sia attualmente sovra-percepito dall’economia e dalla psiche umana che vi è dietro, ma la semplice percezione di un problema è esso stesso un problema (o lo diventa) tanto nell’economia reale che nei mercati finanziari. Anche se non si faranno errori irreversibili come causare il default di istituzioni finanziarie o l’applicazione di politiche di lasseiz faire di fronte a scenari di depressione di lungo corso che comprometterebbero i fondamentali economici di una ripresa, è verosimile che questi vengano comunque messi a dura prova da una situazione sanitaria, e via via economica, globale e di non facile soluzione.
È ovvio che alcuni settori saranno più difensivi di altri. Ho già parlato di beni di prima necessità e sanitari e probabilmente delle utilities, che dovranno rimanere attive.
Altri settori, tipicamente, in contesti di shock tendono a svalutarsi, ma possono conservare in un orizzonte temporale più lungo un valore non del tutto endogeno al mercato che potrà tornare ed essere il motore di una futura espansione: l’immobiliare (legato a fondamentali non esclusivamente finanziari o correlati all’offerta produttiva), la produzione primaria (meno dipendente da una filiera articolata di servizi avanzati), le infrastrutture (target in passato di politiche pubbliche di stimolo economico), la tecnologia (che dispone di un know how messo in crisi da processi di obsolescenza non correlati a questo tipo di crisi), il settore assicurativo (che in una crisi di illiquidità è detentore di grandi patrimoni, seppure pericolosamente esposto ad eventuali svalutazioni del debito sovrano) ed in maniera minore e probabilmente in un secondo momento i beni a fecondità ripetuta. Infine, altri settori saranno ottimi candidati per crisi di più lungo corso e potenziali svalutazioni ‘lunghe’, da gestirsi con attenzione: il settore del credito, i trasporti, i beni ed i consumi voluttuari (dove però andrebbe fatta distinzione tra quei beni resilienti ad eventuali svalutazioni valutarie con conseguente inflazione quali il lusso, quei beni più consumer discreption di largo consumo sensibilissimi ad uno shock di domanda e quei servizi innecessari fortemente condizionati dalla de-globalizzazione ed alla ridotta mobilità umana quali sport, turismo e simili), l’energetico (ovviamente molto legato ad eventuali crisi da shock d’offerta).
Anche in questa crisi, come in molte altre, l’atteggiamento opportunista espresso nell’invito di Warren Buffet di interessarsi a qualcosa quando ‘nessuno lo fa’ sarà adatto a coglierne le occasioni, ma una buona diversificazione può rimanere l’approccio più resiliente. Come spesso nelle grandi crisi le regole scritte del gioco potrebbero essere soggette a repentini cambi, gli assiomi ed i postulati potranno trovarsi disattesi ed asset tradizionalmente considerati stabili e difensivi potranno rivelarsi come qualcosa di ben diverso (penso molto al debito pubblico).
Lo stesso approccio diversificato, capace di miscelare vari gradi di intervento istituzionale (locale, nazionale, sovra nazionale) e di pianificazione, con le potenzialità intrinseche al sistema economico di guarire da sé le proprie ferite (e questo è possibile quando gli si lascia il giusto grado di libertà e lo si condiziona solo a percorrere le giuste dinamiche), sarà secondo me il più efficiente anche a livello di politica economica.

P.C. 06.04.2020

mercoledì 1 aprile 2020

Primo Aprile

Credo di aver individuato il titolo che rappresenta l'investimento migliore e più in sostenuta crescita di questo 2020, asset solido, seppur a leva, che esce da un lungo trend positivo.


P.C. 01-04-2020