Portafogli d'Investimento Teorici:

domenica 12 gennaio 2020

Riflessione: dal Consulente Finanziario all'Assistente Finanziario


Vorrei condividere una mia pura considerazione/speculazione.
Ad oggi per non andare ‘da soli’ verso l’investimento finanziario o la pianificazione finanziaria, che può essere un approccio più completo ed a 360 gradi, esistono vari metodi. 
L’alternativa è il “self service” o il trading, attività che si può fare con successo (soprattutto quando il mercato aiuta un po’ tutti), ma in cui ci vuole molta esperienza per una valida ‘finanza-comportamentale’ (ovvero non metterci più emotività di quanto necessario).
L’esempio più semplice è la ‘consulenza finanziaria’: vado in banca, o dal Consulente Abilitato all’Offerta Fuori Sede (è lunga la dicitura, ma sul promotore qualcuno può offendersi) ed avrò cento aspiranti consulenti. Non si trova un idraulico o una donna delle pulizie neppure a pagarli oro, ma i consulenti ci vengono a cercare con il cane da tartufi.
Esistono poi delle soluzioni più ‘light’, quali ad esempio i Robot-Advisors, in Italia possiamo avere l’esempio semplice  e chiaro di MoneyFarm, divenuta più celebre dopo il suo accordo con PosteItaliane.

Il problema della consulenza è, nella mia umile esperienza, il costo che incide significativamente sui rendimenti e soprattutto il rapporto commerciale (spesso spacciato per umano) in aperto conflitto d’interesse con il consulente.
Esiste la “terza via” del Consulente Indipendente, con cui però in vita mia ho avuto meno esperienze dirette e mi riservo dal recensire.

La mia riflessione è che ho osservato che con il Promotore/C.f.a.o.f.s. il rapporto, che spesso diventa anche umano (il consulente è il riferimento ‘unico’ del risparmiatore, è un libero professionista, ci si basa molto sulla fiducia… tutte cose molto brutte per chi è un po’ paranoico come me, mi spiace) tende ad avviluppare il risparmiatore in un drappo. Il consulente prende decisioni, ‘gestisce’ il denaro (anche se in realtà più che un gestore dovrebbe essere, appunto, un ‘promotore’), il capitale è un suo asset, si applicano forti tecniche di retaining (evitare che il risparmiatore ‘esca’ da tale rapporto), molta dell’informativa passa per il consulente, eccetera… Non sto a fare il solito predicozzo su rischi e possibili distorsioni (i provvedimenti Consob a carico di promotori finanziari sono una buona fonte per documentarsi in merito). Rifletto che spesso questo rapporto è inefficiente anche per i consulenti. 

A fronte di un 2-3% all’anno (guardate i vostri rendiconti Mifid se ne avete) di costo minimo annuo (nella mia esperienza) di consulenza per il risparmiatore/investitore (inteso come costo in più che paga rispetto a sottoscrivere magari ETF o titoli di stato da sé), al consulente arriva spesso 0,5% o 0,75% di continuing (fisso sulla gestione del portafolio), qualcosa in più per servizi particolari (es. accensione di mandati fiduciari, prodotti assicurativi, commissioni alla sottoscrizione/rimborso tolte dal capitale investito).

Il consulente ‘dipendente’ (il ‘povero’ impiegato bancario) è soggetto ancor di più a conflitti d’interesse (non che i consulenti/promotori non finiscano per utilizzare molti prodotti della casa o a rispondere ad alcune logiche di budget) e gli articoli di giornale sulle crisi di banca sono anch’essi ottima fonte bibliografica, oltre al risultato di ottenere in filiale, spesso (salvo rare eccellenze... vabbé il Blog è mio, che devo scriverci?) un servizio mediocre. 
Ovviamente la legge Mifid parla di tutt’altra realtà e la pubblicità degli operatori di Wealth Management racconteranno un’altra storia, io però recensisco sulla base di esperienze reali, per i mondi fantastici ritengo più economiche le serie in streaming. 
Un po’ meno (forse) nei Centri Private, ma lì forse siamo comunque ad un passo ibrido tra filiale e promotore. Il buon Vilfredo Pareto (teorico di quell’ottimo nella teoria dei giochi che non può comportare miglioramenti ad un contendente senza causare peggioramenti nell’altro) in questo rapporto consulente/gestore e risparmiatore credo troverebbe ancor più inspiegabile la mancata evoluzione a cent’anni dalla sua morte dei rapporti economici nel sistema finanziario. Qui infatti il consulente ha un premio in alcun modo proporzionale alla sua utilità per il risparmiatore (che sarebbe la sua attività professionale), e spesso (per curiosi processi storici ed economici nonché giuslavoristici) per il suo datore di lavoro. 
In uno scenario A se fa bene il consulente (buon servizio al risparmiatore) non ottimizza il guadagno immediato del datore di lavoro e la sua retribuzione rimane una percentuale ridicola ed indipendente rispetto al guadagno che ha dato ad entrambi gli altri attori del processo di consulenza. 
In uno scenario B se fa solo vendita e massacra (inevitabilmente… nulla si crea e si distrugge, se qualcuno ingrassa il suo portafoglio qualcun altro lacrima sangue dall’altra parte) il risparmiatore (zero professionalità per lui e ‘danno’ a chi riceve il servizio che è oggetto della transazione economica) abbiamo l’utile immediato del datore, un utile non proporzionale (aver centrato o sovra-performato degli ‘obiettivi commerciali’ rendendosi candidabile per una ‘crescita’) per lui ed un danno sia al risparmiatore che al sistema (quindi indirettamente un danno più grave al suo datore di lavoro che ha avuto oggi l’uovo ma perde domani la gallina). Il danno poi è immenso dove tale crescita dalla candidatura diventa reale: che azienda sarà, che principi avrà, quella in cui la direzione e la governance sono affidati a soggetti selezionati in base ai criteri del profilo B? 
In uno scenario C se è un lavativo/inefficiente (es. un assenteista, o uno con uno stipendio/inquadramento troppo alto per il suo ruolo/produzione) le sue tutele giuslavoristiche lo tutelano (certo più del Cfaofs!), ha un utile marginale rispetto al servizio dato ed al datore di lavoro (viene pagato percentualmente più di quanto produce), ma sta gettando il sale nell’orto che coltiva (se non altro il datore di lavoro perde sia risparmiatore che margine di guadagno e vorrà farlo fuori il prima possibile o trasformarlo in Cfaofs). 
Deve quindi destreggiarsi in un punto D di equilibrio tra i tre punti A,B,C, laddove F(D) = (A,B,C). 
E fare l’equilibrista non è facile né piacevole, e secondo me non è efficiente (anziché ottenere l’ottimo di Pareto otteniamo tre attori tutti e tre insoddisfatti e mediamente sempre incazzati con il consulente).
 Vilfredo, con lo sguardo perso nel vuoto dopo aver letto il rendiconto Mifid2.

Il risparmiatore spesso dice “per anni ho dovuto avere a che fare con questa gente (Promotore/Bancario), oggi il Fintech mi dà l’uovo di colombo: il robot-advisor”. Con 0,5% l’anno (record tariffa minima che ho trovato su internet di Alfa SCF) o 0,9% l’anno, ma con una media realistica dello 0,75% l’anno (costo di MoneyFarm) ho chi mi dice come impostare/correggere il mio portafoglio. Alla fine sono 80 euro al mese ogni 100mila.

Che è qualcosa di utilissimo (anche se per importi un po’ significativi a questo punto preferirei imparare a gestirmi con il pianificatore di un sito come JustEtf che almeno ha un canone fisso), però secondo me lascia alcuni nervi scoperti:
1-      La finanza comportamentale (conosci il cliente, capisci cosa è meglio per lui, consiglialo e parlaci e fai una serie di analisi facendolo accedere alle tue competenze per valutare il da farsi) professionale… va a farsi benedire (ora, io non ho esperienza diretta con i Robot, ma credo sia difficile che facciano un lavoro simile, anche se via Chat). Strategie, esigenze evolute etc… non ne parliamo.

2-      Rendiamoci conto di quanto viene offerto rispetto a quanto viene pagato. Il ‘succo’ del robot-advisor è confrontare 2 tabelle: quella con il questionario/profilo del cliente e quella con le asset allocation adeguate ad ogni profilo e ‘tirare fuori’ gli ISIN dei titoli /ETF del portafoglio modello. Non so… è una cosa che si poteva fare in Basic negli anni ’80 più che Fintech. 0,75% l’anno è poco rispetto al promotore che mi girava come voleva o alla filiale che mi ‘piazzava’ il fondo della casa con il 5% di sottoscrizione… ma il prezzo/servizio dove sta?

Secondo me, potenzialmente, l’evoluzione della consulenza finanziaria (salvo l’esempio del Consulente Indipendente, che però ‘solo contro tutti’: cui solo il costo d’iscrizione all’albo costa molto di più, la previdenza, la formazione, le tasse, i software… non so quanto può chiedere ‘poco’ come parcella) può invece, grazie all’evoluzione digitale, andare ben oltre. Forse ci vorranno diecimila anni dal punto di vista legislativo e giuslavoristico (e le banche risponderanno come il mega-direttore di Fantozzi con un ‘possiamo aspettare’).


Ecco la mia speculazione e sul passaggio all’Assistente Finanziario.
L’assistente finanziario dovrebbe dare consulenza, ma non ‘impossessarsi’ della relazione del cliente come uno suo asset su cui avere un continuing (rendita continuativa da flusso commissionale di gestione) spesso opaco, monopolizzando la gestione. Dovrebbe poter avere un rapporto diretto e conoscitivo (come il consulente, a differenza del robot), ma non esclusivo e univoco. Penso alla comunicazione a distanza, alla condivisione di informazioni, agli strumenti di messaggistica come strumenti adatti a dare questo servizio. Dovrebbe avere un guadagno (o canone) trasparente come quello di MoneyFarm (lo so quanto gli do, in euro e all’anno: è chiaro da prima di instaurare il rapporto), ma non una remunerazione ‘alta’ e potenzialmente illimitata come il professionista totalmente ‘libero’ (in soldoni: se becco la vecchietta che mi paga il settordici percento… perché no?!). Dovrebbe poter gestire non 20 o 60 o 100 clienti come un promotore, ma 500, ottimizzando il modello di servizio in maniera ibrida al robot-advisor (es. creare sì, strategie professionali, ma applicarle massivamente a portafogli simili) e potendo accedere ad una platea più ampia. Avrebbe una reputazione, riscontrabile online come per ristoranti e alberghi, sulla base del servizio che da. Dovrebbe avere (di conseguenza, visto che ti trovi a gestire tante situazioni diverse) molta esperienza ‘concreta’ (non i 50 master alla Bocconi presi un tanto al chilo) ed empirica (ti è capitato di tutto, sai dare soluzioni anche complesse facilmente a tutto, dal Trust alla casalinga separata). Potrebbe applicare un canone dallo 0,20% allo 0,5% l’anno (500 clienti da 100mila ciascuno x 0,002% = 100k lordi annui, anche con previdenza, ma con costi vivi efficienti grazie a tecnologie digitali si dovrebbe ‘accontentare’… caspita!).
Dovrebbe ‘assistere’, come l’operatore del CAF, non come l’avvocato principe del foro, all’investimento. Deve ‘smazzarzi’ il lavoro, un lavoro che teoricamente l’investitore può benissimo fare da solo, sulla carta, ma a cui conviene rivolgersi ad un assistente la cui retribuzione non pregiudica il risultato finale come a tutti noi può convenire spendere una cifra contenuta per un architetto per sistemare casa e svolgere le pratiche burocratiche: perché lui lo fa prima, meglio, è pratico e mi costa meno che imparare da solo.
Perché la stragrande maggioranza degli investitori ha bisogno di un po’ d’assistenza… tutto il resto è inefficiente, secondo me.
Ovviamente ci sono troppi interessi nel Wealth Management perché qualcosa del genere prenda piede, soprattutto dal punto di vista normativo, però da buon equilibrista ogni tanto mi soffermo a riflettere su queste analisi.

P.S.
I dati li ho presi da internet solo per fare esempi (non si vol diffamare o criticare nessuno), le considerazioni sono mere opinioni personali da consumatore, spero obiettive.
Qualcuno penserà: nel 2019 il mio fondo azionario USA ha fatto +25%... il 2% l'anno di costi di consulenza, ma anche il 3% non incide molto, ma neanche il 6% diciamolo... Qui andrebbe fatto un altro discorso. Innanzitutto ci sono poi i costi vivi dello strumento, l'imposta di bollo (anche lo Stato deve pur mangiare) e le tasse di capital gain. Poi c'è da dire che se un ETF costa 0,3% una volta che ci ho aggiunto i costi del RobotAdvisor ho quasi raggiunto le Sicav e i fondi meno esosi... se ci metto un 3% mangio tutta la redditività di un titolo di stato italiano a lunga scadenza e sono obbligato, per avere semplicemente un rendimento positivo nel tempo (i costi erodono capitalizzando il loro effetto sull'investimento), sul concentrarmi su asset rischiosi/redditizi solo per poter pagare chi mi consiglia (non è un pò una distorsione del concetto stesso di consulenza?). E anche lì qualcuno dirà "e grazie, oggi i titoli di Stato rendono poco", certo negli anni '90 magari mi davano il 6% e allora 2% l'anno era sostenibile? No, perché tolta l'inflazione alla fine sull'investimento prudente finiva per guadagnare sempre e solo il promotore, nel lungo termine, anzi magari era peggio. Io 'miro' ad un obiettivo 0,2% perché, pari all'imposta di bollo, secondo me è una soglia che ha impatto molto sostenibile per quasi tutte le volatilità ed i profili di investimento. Magari riuscirci. Forse tutta questa riflessione è una pura utopia o una boiata, almeno spero di aver risarcito il lettore con una vignetta divertente.

P.C. 12.01.2020

Nessun commento: