L’Economia della Crisi e la Crisi dell’Economia [appunto 1]
Nel 1596 una superpotenza dominava sui destini d’Europa, e di gran parte di quello che veniva considerato il mondo occidentale: l’Impero di Spagna. Un impero globale, su cui ‘non tramontava mai il sole’, come ebbe a vantarsi Carlo V. Ed in effetti Carlo V d’Asburgo aveva di che vantarsi: mai nessuna civiltà umana aveva creato un impero esteso su 3 continenti (Americhe, Africa settentrionale, Europa), un impero che in un’epoca in cui il denaro era legato a beni fisici (la ricchezza rappresentata dal conio, dal metallo prezioso in esso contenuto) poteva forse per la prima volta vantare riserve quasi illimitate di ricchezza (grazie ad approvvigionamenti quasi inesauribili di miniere d’oro che stimolarono la leggenda dell’Eldorado americano combinato al servizio dei primi grandi prestatori bancari organizzati dell’epoca moderna, banchieri come i Fugger), un impero che nella sua persona univa anche la corona del sacro romano impero, e faceva di lui, quindi il ‘re dei re degli uomini’ secondo la visione cristiana del mondo, ma senza un papa che gli si opponesse come era avvenuto per i suoi predecessori. Questo impero nel 1596 dichiarò bancarotta, per la quarta volta. I prestiti a breve termine, in gran parte garantiti dalle capacità finanziarie e dai depositi monetari della corona (e caratterizzati, in un periodo di spiccata inflazione, da tassi d’interesse elevati) venivano per decreto imperiale convertiti in titoli a lungo termine e ad interessi bassi. Oggi parleremmo di ‘rinegoziazione del debito’ penseremmo alla Grecia, all’Argentina… e la simmetria tra tali situazioni è tutt’altro che casuale. Dove erano finite le sterminate ricchezze della Spagna? Un solo tomo di migliaia di pagine non basterebbe a rispondere esaustivamente a queste domande. Rimando quindi agli scritti dei maestri, i vari Braudel, Elliot, Villari. Nei decenni che erano intercorsi dall’elezione di Carlo V a quel fatale 1596, che a mio parere ‘chiude’ il secolo del cosiddetto Rinascimento, enormi risorse erano state spese nella lotta contro una diversa concezione del mondo che si era diffusa a partire dall’affissione sulla porta di una chiesa, da parte degli allievi di un monaco agostiniano, di 95 tesi che avrebbero messo in crisi la concezione del mondo cristiano. La visione del mondo della Controriforma, con i suoi ori, i suoi fasti, le sue teste coronate, i suoi punti fermi, le sue opere d’arte, la sua edilizia, il suo potere terreno che voleva mostrarsi quale manifestazione del potere divino, si opponeva ai principi duri e puri, al rigore morale, ma anche alle frammentazioni ideologiche, alla lotta di classe di Muntzer ed i suoi tentativi di sovvertire l’ordine sociale, agli eccessi degli anabattisti, ed alle tante anime che caratterizzarono quella che voleva essere ‘La’ Riforma. I parallelismi tra la lotta tra il modello del socialismo e quello del capitalismo nel XX secolo sono essere interessanti. Da questo scontro-confronto la super-potenza dominante uscì piena di debiti, che travolsero l’occidente nel secolo successivo (un’altra storia già sentita?) facendo scoprire al mondo fenomeni come la deflazione e la crisi economica di lungo periodo. Fu questa la fine dell’economia? O l’economia stessa si reinventò, attraverso un processo che io definisco ‘economia della crisi’? Il risultato fu interessante… la “guerra totale” teorizzata (ed applicata) dal generale Wallenstein (la cui creatura si sarebbe poi imposta come modello, facendone un aspirante cavaliere dell’apocalisse per i tanti civili che ancora oggi pagano i costi della guerra nelle loro case), fece tabula rasa del nemico.
J. Callot (1635): Il Saccheggio di un Villaggio - Esempio di ‘Guerra Totale’.
La Germania, patria di Lutero, la più grande potenza europea dopo la caduta dell’Impero Romano, il centro del potere Carolingio e post-carolingio, cessò praticamente di esistere per oltre duecento anni (duecento anni di relativa pace se poi si pensa all’impegno tedesco per rimettersi in pari dal 1871 al 1945 e oltre…). Una vittoria di Pirro, l’avrebbero definita però i Romani, perché la fiamma dei principi protestanti, di quello che sarebbe diventato ‘lo spirito del capitalismo’ secondo il sociologo Max Weber, era destinata ad essere incoronata regina dalla storia. I principi dell’economia moderna, sorti da radici pre-cristiane (ebraiche in particolare), dimostrarono che la storia economica vince sulla storia militare, che la ricchezza è nulla senza produttività, che una piccola fiamma, vitale, può bruciare una sterminata selva di querce secolari. Dalla piccola Olanda, che nel tempo dell’economia della crisi aveva investito nella produttività, che non produceva nulla ma in cui non mancava alcun bene, che non possedeva miniere, né terre, ma dominava con le sue compagnie commerciali un impero di natura ben diversa da quello di Carlo V, ma di estensione addirittura superiore, nel 1689, tramite l’incoronazione di Guglielmo d’Orange, quei principi che Weber considera fondanti del capitalismo moderno, si diffusero in Inghilterra. Da allora (forse la vera fine dell’economia della crisi, e la nascita dell’era del capitalismo e della produttività) l’egemonia economica, il capitale, il progresso, sarebbero stati in grandissima parte anglosassoni e protestanti.
In questo contesto condivido sul blog un mio primo appunto (appunto 1) relativo alle caratteristiche e strutture di questa ‘Economia della Crisi’, da me pubblicato nel 2016 nel mio articolo ‘Il Colle Armeno e l’Ospedale dei Proietti’ (Frammenti d’Ossidiana, Universitas Studiorum, ISBN 978-88-99459-30-7 pp. 145-164).
“La transizione tra medioevo e modernità, così come analizzata da Bloch, prende avvio verosimilmente nello Stato Pontificio a partire dall’incorporazione delle signorie dei Bentivoglio e dei Baglioni ad opera di Giulio II (1503-1513). Ciò produce un consolidamento del dominio dello Stato in direzione delle città romagnole[1] e contemporaneamente incrementa il controllo diretto da parte del Papato su un territorio sottoposto ad un progressivo processo di accentramento amministrativo. Tale accentramento amministrativo si riconduce anche ad una centralità finanziaria ed economica della città di Roma. In questo periodo infatti si attuano grandi investimenti edilizi e tanta floridezza economica non è stata probabilmente più eguagliata nell’Età Moderna.
Il capitale finanziato venuto a crearsi viene amministrato ricorrendo al sistema dei Monti, già in uso a Firenze, Siena, Venezia a Genova. Tale sistema era ritenuto moderno per l’epoca, quanto a mezzi[2], ma con metodi che, citando Braudel, consentivano ai Papi di non incorrere nelle bancarotte che si diffusero a partire dalla fine del secolo, trasformando titoli vitalizi in perpetui, prestiti vacabili in non vacabili, abbassando i tassi d’interesse ed al contempo fornendo enorme liquidità al Papato ed alla nobiltà romana. L’insolvenza finanziaria della corona di Spagna[3], la più grande potenza economica europea nel secolo XVI, contribuì ad una crisi divenuta generale perché travolse l’intero sistema finanziario ad essa contemporaneo. La crisi economica aprì anche un periodo cupo dal punto di vista politico e sociale che sfruttava la leva religiosa e progressivamente si allargava a livello nazionale con l’obiettivo di riformare l’intero sistema istituzionale e filosofico.Il secolo XVII fu caratterizzato da depressione economica, deflazione di lungo periodo ed una serie di conflitti ai margini dell’impero che tenderanno a riscrivere la mappa delle aree d’influenza delle principali potenze mondiali, e sostanzialmente a spostare gli equilibri del potere e della ricchezza dai vecchi ceti dirigenti spagnoli e dalle élite finanziarie mediterranee verso le nuove potenze emergenti dell’area atlantica e nord-europea. Il Rinascimento aveva lasciato posto al Barocco.Alla “economia della crisi” che seguì questa crisi dell’economia, non poteva sfuggire lo Stato dei Papi che era sopravvissuto finanziariamente alla bancarotta, ma che doveva provvedere, come spesso accadeva in tali fasi storiche, ad un intervento pubblico per salvare un sistema finanziario fino ad allora in mano a istituzioni ormai obsolete o a banchieri privati insolventi. La mano dello Stato andò a cercare i capitali laddove si trovavano, conservati ed immobilizzati, trasmessi per secoli da un’amministrazione finanziaria ormai divenuta inefficiente e lacunosa rispetto alle nuove esigenze di un’economia che doveva necessariamente dotarsi di strumenti più avanzati per evitare la depressione.L’istituzione di un nuovo Banco presso l’Ospedale di Santo Spirito fu un caso di creazione di uno strumento evoluto che rispondeva ad esigenze di politica monetaria, di sostegno al debito pubblico e di pubblica garanzia[4]. I beni amministrati dai priori dell’Ordine di S. Spirito, di cui era titolare l’istituto dell’Ospedale, divennero con le loro rendite le garanzie materiali a tutela dei depositi del Banco di S. Spirito. La fondazione istituzionale del Banco di S. Spirito è del 1605, ma la pianificazione politica di tale opera risale a prima[5] poiché nelle fonti relative ai 178 priorati di S. Spirito, di cui ci è pervenuta documentazione attraverso l’archivio dell’Ospedale e dell’Ordine prima, del Banco poi, appare evidente la presenza di relazioni su ‘l’inventario dei beni del priorato’ tutte databili tra la fine degli anni ’80 del secolo XVI e la prima metà del decennio successivo[6]. L’attenzione ad un possibile inventario generale delle sterminate proprietà e rendite di cui l’Ospedale risultava titolare è probabilmente la base strutturale di una concezione moderna della proprietà quale garanzia del capitale finanziario: il fondamento del sistema economico che a partire dai secoli successivi e fino all’età contemporanea caratterizzerà il sistema economico europeo. I beni fondanti tale capitale si erano accumulati ed accresciuti nel lungo periodo della gestione che seguiva il “modo antico”: i monasteri obbedienti ad uno stesso ordine e ad una medesima regola avevano generato istituzioni ‘figlie’ e ‘sorelle’ in maniera quasi autonoma all’interno dei priorati.La cesura nella registrazione delle uscite e soprattutto delle entrate dell’Ospedale si identifica nei libri mastri del 1594 e del 1595[7], queste si riferiscono qui non solo ai feudi ed ai priorati, ma anche ai beni cittadini, alle donazioni, etc.. La più attenta annotazione ed un’analisi quantitativa di una puntualità insolita in età pre-statistica evidenziò alla Camera Apostolica il sostanziale stato di perdita costante in cui, nonostante un cospicuo patrimonio, versava l’Ospedale. Queste evidenze, tuttavia, vanno inserite in un quadro in cui l’effettiva presenza di canoni provenienti da beni distribuiti sul territorio che potevano essere monetizzati a Roma era relativamente rara, in un sistema che generalmente era giudicato ‘da contadino’[8] nella capitalizzazione dei beni, poco attento a massimizzare i flussi di cassa per drenare risorse economiche a favore della finanza romana. Le uscite, oltre che al sostentamento dei Proietti in generale (che comunque erano custoditi anche nelle molte strutture di assistenza sul territorio gestite dai diversi priorati) e degli ospiti dell’Ospedale in particolare, erano evidentemente reinvestite da un ente quasi unico per dimensioni e disponibilità all’interno dell’economia cittadina nell’edilizia, nell’occupazione, quale strumento di redistribuzione delle risorse e motore economico. Era evidentemente l’intenzione già dagli inventari del 1585-1595 e dalla revisione contabile degli anni 1594-1596, di trasformare il ruolo economico dell’Ospedale e dell’Ordine, delegandolo a questa istituzione finanziaria più moderna ed efficiente che fu il Banco, prima internamente all’Ospedale nel 1595, poi tramite la formale istituzione nel 1605. Tale politica può essere verosimilmente ricondotta al pontificato di Sisto V (1585-1590) cui si fanno risalire le riforme istituzionali che coinvolsero il Sacro Collegio, e va letta in parallelo alla politica di razionalizzazione delle spese locali che si concretizzò nella bolla Pro commissa nobis del 15 agosto 1592, con cui Clemente VIII (1592-1605) istituì quale dicastero la Congregazione del Buon Governo[9].Il Priorato di Pescina non sfuggì alla revisione amministrativa del secolo XVII, di cui ci fornisce traccia ‘l’inventario de beni stabili del priorato di Piscina ch’a posseduto anticamente e che possiede ancor’hoggi’[10] che censisce i beni, i lasciti e i canoni realizzati, seguì nel 1710 la sostanziale perdita dell’autonomia amministrativa. I beni del priorato vennero quindi affittati, e i proventi di tali affitti canalizzati presso l’ospedale di S. Spirito che avrebbe poi provveduto alle necessità delle sue ‘filiali’. Ovviamente questo sistema drenò risorse dal territorio, causando la sostanziale rovina di un sistema che era perdurato nella longue durée fin dal Medioevo. Procedendo a ritroso attraverso le fonti sarà possibile analizzare la transizione nei rapporti tra rendita, proprietà ed economia locale nel caso di studio. [1] F. Seneca, Venezia e Papa Giulio II, Liviana Editrice, Padova, 1962.[2] Le finanze e il credito al servizio dello Stato in F. Braudel, Civiltà e imperi del Mediterraneo nell’età di Filippo II, Einaudi, Torino, 1986, p. 738.[3] La decadenza della Spagna e la Guerra dei Trent’anni (1610-1648/59) in Storia del Mondo Moderno, Volume 4°, Garzanti, Milano, 1971, pp. 89-90 e 104-105.[4] Si veda in merito, per un trattamento più specifico dell’argomento, L. De Matteo, Il Banco di S. Spirito dalle Origini al 1960, Roma, 2001.[5] Ibidem [6] ASR, Ospedale di S. Spirito, Libri Mastri Generali, b. 2844, b. 2847.[7] ASR, Ospedale di S. Spirito, libro mastro del 1594, b.2791 e ASR, Ospedale di S. Spirito, libro mastro del 1595, b.2793.[8] F. Braudel, Civiltà e imperi del Mediterraneo nell’età di Filippo II, cit. e L. De Matteo, Il Banco di S. Spirito dalle Origini al 1960, cit., p.11. [9] Si fedano in merito gli studi di Stefano Tabacchi, in particolare S. Tabacchi, Il Buon Governo. Le finanze locali nello Stato della Chiesa (secoli XVI-XVIII), Roma, Viella, 2007.[10] Tale inventario non è presente solo per Pescina, ma è stato redatto per tutti i priorati la cui documentazione è stata conservata presso l’Archivio dell’Ospedale di S. Spirito. ASR, Ospedale di S. Spirito, b. 1065/1.“
PC 17 marzo 2018
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